La muta stagna è stata da sempre considerata uno strumento estremamente tecnico, destinato solo a coloro i quali sono dediti ai cosiddetti "lavori subacquei", ossia a quella categoria di professionisti del mare impegnati in cantieri subacquei, piattaforme "off shore", lavori portuali o altre attività di questo genere. Il mondo sportivo ha, fino al recente passato, concentrato molto di più la sua attenzione sulla ricerca di un miglioramento della tenuta termica delle normali mute umide che noi tutti ben conosciamo.
Ultimamente, tuttavia, qualcosa sta cambiando in questo trend, e a dire il vero sta cambiando molto velocemente. Ciò è sicuramente dovuto al fatto che una muta stagna è infinitamente più calda di una umida, ma anche al miglioramento del comfort di queste attrezzature e allo sforzo tecnologico impiegato attualmente in questo settore. Un duplice processo, dunque, un reciproco fenomeno di causa-effetto, quello che ha visto gli sportivi interessati ad un prodotto finora destinato quasi esclusivamente al mercato professionale e le aziende produttrici gettare un occhio al nuovo potenziale mercato sportivo, adattando le attrezzature a quelle nuove esigenze.
Entriamo dunque più approfonditamente nel merito di quella che di certo sarà un'attrezzatura che caratterizzerà l'immersione sportiva degli anni novanta, favorendo così l'allungamento della stagione subacquea anche a quei periodi dell'anno in cui il Mediterraneo era considerato da molti troppo freddo. Complice, lo abbiamo appena detto, l'adeguamento del mezzo tecnico alle esigenze sportive, ma anche il relativo abbassamento dei costi d'acquisto provocato dall'espansione del mercato.
Una muta stagna, a tutti è noto, è una muta che impedisce completamente l'ingresso dell'acqua e riesce a mantenere il volume costante grazie alla possibilità di immettere aria all'interno per compensare la compressione dovuta all'aumentare della pressione dell'acqua durante la discesa. Scorrendo i cataloghi delle varie aziende troveremo molti modelli diversi, tanti da fare una gran confusione.
In prima approssimazione possiamo determinare due grandi gruppi dalle caratteristiche completamente diverse: le mute stagne in neoprene e quelle in tessuto gommato, poliuretano, trilaminato, ossia tutte quelle costituite da un tessuto rigido e non comprimibile che in questo testo, per brevità, chiameremo in "tessuto". La differenza saliente sta nella diversa coibenza che il neoprene offre di per sé stesso, a prescindere dal sottomuta che si indossa al di sotto.
Le mute in tessuto, infatti, garantiscono solo la tenuta e non la coibenza termica. Saremo dunque costretti ad indossare degli indumenti per proteggerci dalla perdita di calore. è chiaro che in questo caso molto dipende dal tipo di sottomuta indossato. Ciò detto non resta che scegliere muta, sottomuta ed andare in acqua. Ma sarà poi così difficile usare un vestito stagno? Esiste davvero il rischio di partire verso la superficie con i piedi in alto? È vero che queste attrezzature sono state ideate e realizzate per chi deve lavorare fermo sul fondo e non per chi ha intenzione di andarsene in giro pinneggiando per il fondo marino? Cerchiamo di dare delle risposte a tutti questi quesiti.
Iniziamo col piede giusto scegliendo una muta esattamente della nostra taglia, fornendo al negoziante il nostro peso e l'altezza: una muta troppo piccola ci impedirà nei movimenti, una troppo grande consentirà la formazione di una grande quantità di sacche d'aria. Regoleremo poi le giunzioni stagne: polsini e collarino devono essere giustamente aderenti e non lavorare come lacci emostatici. Al momento dell'acquisto bisognerà dunque tagliare sia gli uni che gli altri fino a raggiungere la taglia il più esatta possibile. A questo punto sceglieremo il sottomuta tra i vari tipi in commercio e su questa base effettuiamo la corretta pesata.
È in questo momento che spesso si compie il primo, gravissimo errore: una sovrazavorratura. Entreremo invece in acqua con una bombola scarica e ci zavorreremo fino a trovarci in superficie con il pelo dell'acqua che ci sfiora la testa con gav e muta completamente sgonfi. Già, il gav... usarlo o non usarlo. Qui c'è da fare una netta distinzione tra le mute in neoprene e quelle in tessuto. Una muta in neoprene, infatti, è una muta elastica, e dunque l'aria tenderà a raggiungere la parte più alta in quel momento e a deformare il neoprene.
Questo è, evidentemente, un fattore negativo. La valvola di mandata serve dunque solo a immettere nel vestito la giusta quantità d'aria necessaria ad evitare il collasso del materiale sul nostro corpo, mentre al gav sarà completamente demandato il controllo dell'assetto, compensando la progressiva diminuzione della spinta di galleggiamento dovuta allo schiacciamento del neoprene all'aumentare della profondità. Diverso il discorso dei vestiti in tessuto. In questo caso la galleggiabilità del sistema resta costante, dato che il vestito non è soggetto a schiacciamento, e dunque a variazioni di assetto, e che il volume d'aria contenuto al suo interno e ridotto dall'azione della pressione durante la discesa viene ripristinato con l'aria immessa dalla valvola di mandata.
Se avremo fatto una giusta pesata e avremo immesso con attenzione aria nel vestito, non sentiremo affatto l'esigenza di utilizzare il gav, se non per finissime regolazioni o per compensare eventuali appesantimenti non considerati, quali ad esempio quelli dovuti ad una pesante apparecchiatura fotografica. Quanto detto non significa che il gav diviene uno strumento superfluo, anzi, è davvero indispensabile in superficie, laddove la muta stagna si rivela davvero scomoda per via dell'aria che sale verso le spalle e sfugge via dal collarino senza garantirci una efficiente spinta di galleggiamento.
Tornando a riflettere su quanto detto prima, si deduce che i timori di "pallonate" o di risalite piedi all'aria si rivelano quasi del tutto infondati o comunque dovuti all'imperizia del subacqueo, che in questo, come in altri casi, deve frequentare un serio corso prima di utilizzare queste nuove attrezzature. Vediamo ora più da vicino la possibilità di gestione dello scarico dell'aria e dell'assetto con una muta stagna. Esaminiamo per primi i vestiti in tessuto: questi sono di solito dotati di una valvola di scarico automatica montata sul braccio all'altezza della spalla.
Mediante una rotazione si agisce sulla molla di taratura indurendo o alleggerendo la valvola. La taratura è semplice: basta inginocchiarsi sul fondo, aprire completamente la valvola e successivamente avvitarla a poco a poco: sollevando il braccio lascerà uscire liberamente l'aria in sovrappressione, mentre abbassandolo si interromperà il flusso. Immergiamoci dunque tranquillamente fino al momento della risalita, che effettueremo con il braccio sollevato, certi di mantenere un assetto costante ad ogni quota a causa del corretto deflusso dell'aria in sovrappressione.
In ogni caso premendo sulla valvola possiamo contare su di una sorta di scarico rapido per ridurre ulteriormente la spinta di galleggiamento. Completamente diverso, anche in questo caso, il discorso con le mute stagne in neoprene, sulle quali non ha senso che vengano montate le valvole automatiche, vista la comprimibilità del materiale. Dovrà essere dunque il subacqueo ad agire in risalita sul comando di scarico. Quanto detto sfata anche la fondatezza del vecchio luogo comune delle pallonate a piedi all'insù.
Infatti, se ci troviamo in equilibrio idrostatico in posizione verticale a testa alta, non si vede per quale ragione non lo dobbiamo essere anche con i piedi all'insù e perché l'assunzione di questa posizione dovrebbe provocare una drastica variazione d'assetto. Va inoltre considerato che, quand'anche si dovesse lentamente iniziare a risalire con i piedi in alto, basterebbero pochi colpi di pinna per vincere quella che per il momento è ancora una modesta spinta positiva e ricomprimere l'aria contenuta nella muta ad una pressione di poco superiore, sufficiente a ripristinare l'equilibrio idrostatico.
Un altro timore, questa volta più fondato, riguardo agli incidenti possibili con una muta stagna, è quello dell'allagamento. Nel caso di un'infiltrazione non avremo particolari problemi, se non quello del freddo, soprattutto con una muta in tessuto, incapace di per sé di trattenere il calore corporeo. La muta di neoprene, di contro, funzionerà quasi come una muta umida, mantenendoci ancora discretamente caldi. Diverso il caso di un ingresso massiccio d'acqua, come quello dovuto alla rottura della cerniera, caso peraltro davvero rarissimo.
Tutta l'aria contenuta nel vestito stagno sfuggirà verso l'alto rendendoci improvvisamente negativi. Non negativi a causa dell'acqua contenuta nella muta, attenzione!, ma a causa della zavorra che avevamo indossato per bilanciare proprio quell'aria che è fuoriuscita. Ed eccoci ancora a fare dei distinguo tra come agire con una muta in neoprene e come con una in tessuto. Nel secondo caso, infatti, abbiamo due soluzioni: la prima è quella di risalire utilizzando il gav; la seconda quella di sganciare i piombi, certi del fatto che ad ogni quota il nostro assetto resterà costante e non rischieremo dunque pericolose pallonate.
Con la muta in neoprene, invece, non bisognerà assolutamente mollare i piombi, che sono il mezzo che ci consente di controbilanciare il recupero di spinta positiva del neoprene che si espande durante la risalita. Godiamoci dunque tranquillamente la nostra immersione, al caldo e all'asciutto, godendo del comfort di cui possiamo finalmente usufruire. Tutto questo, naturalmente, dopo aver seguito un corso valido ed approfondito ed essendo diventati sufficientemente pratici sull'utilizzo di questa nuova attrezzatura.
Esistono sostanzialmente tre grandi famiglie di sottomuta alle quali riferirsi al momento dell'acquisto. La soluzione più classica e forse anche più economica è quella di indossare un'apposita tuta in "pile". Si tratta di un materiale sintetico che garantisce un'ottima coibenza termica e non ostacola affatto nei movimenti.
Purtroppo, però, trattiene la traspirazione corporea in minuscole goccioline che alla lunga generano una spiacevole sensazione di freddo, sia in acqua che, soprattutto, al momento della svestizione, quando il vestito in tessuto non ci protegge più dal vento. Ci sono poi i sottomuta in schiuma di Pvc a cellule aperte. Consentono il trasferimento della traspirazione corporea dal corpo alla parete interna della muta sulla quale si condensa.
Anche in questo caso la protezione dal vento in superficie è molto scarsa. Nuovi ed efficaci i sottomuta in Thinsulate, un materiale che assicura un notevole isolamento termico, garantendo al tempo stesso la traspirazione. Il tessuto esterno è impermeabile agli spruzzi e garantisce un'ottima tenuta al vento. Esistono anche altri tessuti tecnici di questo tipo che offrono prestazioni ancora migliori, a costi però piuttosto elevati.