Gli appassionati d'immersione tecnica spinta all'estremo sono i sub "no-limits", per i quali la sfida non è il rischio puro ma, al contrario, la capacità di azzerare o almeno ridurre drasticamente i pericoli attraverso un preciso addestramento e una meticolosa ricerca tecnologica.
Ne fanno parte quegli speleologi, soprattutto francesi e svizzeri ma anche italiani, capaci di penetrare in sistemi sommersi di grotte e cunicoli lunghi chilometri; gli appassionati di relitti che vanno a esplorare l'interno di navi affondate nelle acque scure e gelide delle coste inglesi o americane dell'Atlantico (una loro meta classica è l'Andrea Doria, avvolto dall'oscurità e dalle correnti del banco di Nantucket); i profondisti, sempre svizzeri, che si allenano tuffandosi a 90 metri nel buio dei laghi, non di rado chiamati anche in Italia per interventi di tale difficoltà.
Per tutti questi superimpegnati l'ostacolo più grosso da superare, quando c'è di mezzo l'alta profondità, è quello della narcosi d'azoto, o meglio della "sindrome degli alti fondali". Vediamo di riassumere i concetti principali del fenomeno.
Una delle prime conseguenze di una notevole pressione ambiente è l'aumento della densità dell'aria, cui fa riscontro un maggiore sforzo dei muscoli respiratori. La ventilazione diventa lenta e faticosa, con una diminuzione della frequenza degli atti respiratori ed un aumento della loro ampiezza, la quale comunque non compensa la diminuita capacità d'inspirazione massima dovuta alle turbolenze che si creano nelle prime vie aeree.
Cala, parimenti, la capacità massima di espirazione, per un vero e proprio collasso che si verifica ad un certo punto nelle canalizzazioni aeree minori. Ne consegue l'inevitabile accumulo di anidride carbonica nel sangue, mentre l'incremento dell'ossigeno sciolto fisicamente nel plasma sembra portare ad una maggiore ritenzione di CO2 da parte dei tessuti.
Ed un alto tasso di CO2 favorisce e potenzia la narcosi da azoto, alla quale non tutti siamo parimenti sensibili, ma che può iniziare a farsi sentire già a 30 metri. Oltre i 4-5 bar di pressione, infatti, l'azoto smette di comportarsi passivamente e influenza diverse funzioni dell'organismo, il quale viene coinvolto in un processo di intossicazione in cui l'N2 è il protagonista e l'anidride carbonica la sua complice. Ne deriva un graduale indebolimento di molte facoltà, quali la concentrazione, i riflessi, l'autocontrollo, le capacità di calcolo e mnemoniche, l'abilità manuale.
L'allenamento specifico alle immersioni profonde riduce in parte tali effetti, che comunque oltre i 50 metri sono sempre evidenti. è il motivo per cui questa quota è considerata il limite delle immersioni ad aria. Assuefazione ed autocontrollo permettono in qualche modo di continuare a essere operativi a quote anche molto superiori, ma i rischi ai quali ci si espone e la drastica riduzione delle proprie capacità, variabile da individuo a individuo, si dimostrano un prezzo altissimo da pagare.
L'unico rimedio è l'eliminazione o la riduzione dell'azoto, sostituendo la normale aria compressa nelle bombole con una miscela composta da due gas (binaria) o da tre gas (ternaria). La prima (Heliox) prevede l'impiego di elio al posto dell'azoto e una percentuale di ossigeno rapportata alla profondità massima prevista; nella seconda (Trimix) il gas diluente è formato da elio e azoto insieme, in percentuali anch'esse variabili in base alla pressione cui si prevede di respirare la miscela.
Come si vede, qui non stiamo parlando del Nitrox, semplice aria arricchita di ossigeno, ma di vere e proprie miscele sintetiche. L'elio è un gas leggero, molto diffusibile e con alcune caratteristiche negative, per cui in campo professionistico è da tempo allo studio la possibilità di sostituirlo con l'idrogeno (H). Alcuni profondisti hanno anche provato altri gas inerti, come l'argon (A) e il neon (Ne), il quale ha il vantaggio di essere meno solubile dell'elio, essendo le sue molecole di maggiori dimensioni. Questo dovrebbe permettere minori tempi di decompressione: ma siamo sempre nel campo della sperimentazione pura. Le miscele più collaudate utilizzano pertanto l'elio (He).
Per evitare una sua troppa rapida saturazione dei tessuti, dovuta alle caratteristiche che gli sono proprie, si tende a metterne il meno possibile nel gas di respirazione, utilzzandolo in miscelte ternarie, nonostante siano più complesse delle binarie. La respirazione d'elio, tra l'altro, provoca una notevole dispersione termica e richiede indumenti molto protettivi per non patire il freddo.
L'utilizzo di gas speciali, oltre ad essere costoso, richiede una preparazione specifica, quindi un'organizzazione e un'attrezzatura decisamente più complesse rispetto a un'immersione ad aria. Le miscele possono essere acquistate preconfezionate oppure create di volta in volta travasando uno dopo l'altro i vari gas dai bomboloni all'autorespiratore.
Ovviamente, in ambedue i casi, le loro percentuali devono essere dettate da tecnici specialisti ed i travasi effettuati da esperti con l'ausilio di strumentazioni di controllo di assoluta precisione. L'immersione, poi, deve essere programmata e regolata sulla base di tabelle appositamente studiate, differenti per ogni percentuale di gas nella miscela, ed effettuata avendo a disposizione altri gas per la discesa e la decompressione.
Infatti, nelle prime decine di metri non si può respirare un composto troppo povero di O2, mentre in fase decompressiva servono gas superossigenati rispetto all'aria (Nitrox), da sostituire possibilmente con l'ossigeno puro negli ultimi metri. La complessità che deriva da tutto ciò è notevole e infatti le miscele sono sempre state considerate di uso esclusivamente professionistico. Il loro avvicinarsi al campo sportivo è iniziato per gradi alcuni anni fa. Poi, il diffondersi dell'immersione tecnica, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ha portato a utilizzarle sempre più spesso, respirate in circuito aperto.
All'estero sono ormai numerosi i centri specializzati che le propongono e ne insegnano l'uso. Il tempio dell'immersione tecnica è senza ombra di dubbio la sede della Psa (Professional Scuba Association), in Florida, posta sulla riva di un lago privato attrezzato per ogni tipo di esercitazione: piattaforme in superficie e a diverse quote, percorsi subacquei fissi fino alle massime profondità operative, autorespiratori dislocati stabilmente sott'acqua per le decompressioni con i vari gas ed una quantità di altre cose per noi impensabili.
In questa "Deep Diving Clinic", com'è chiamata, si vive per l'intero periodo del corso prescelto, in un denso programma full-time perfettamente pianificato che non lascia nulla al caso o all'improvvisazione dei singoli.
Da breve tempo la sigla Psa è comparsa anche in Italia, per cui siamo andati a vedere cosa propongono gli istruttori della "H2O Diving Activities", che hanno ottenuto l'esclusiva di quella didattica dopo aver acquisito i vari brevetti presso la casa madre.
Non è facile immaginare che un comune subacqueo, proveniente dalla semplice scuola dell'immersione "ricreativa", possa arrivare in breve tempo a compiere il lungo salto fino all'uso corretto delle miscele. Con quali metodologie e con quali programmi didattici? E l'idoneità psico-fisica per affrontare gli alti fondali? E le complesse attrezzature indispensabili? Il dubbio di base era che le miscele fossero sfruttate come uno specchietto per le allodole: un rapido corsetto preparatorio, un'immersione non troppo profonda e alla fine del week-end il rilascio di un attestato buono per essere appeso al muro, ma di nessun valore tecnico. Ma, per fortuna, i programmi Psa sembrano piuttosto rigidi e poco adatti ad essere banalizzati.
Per prima cosa i corsi Trimix non vengono spinti commercialmente, invogliando chiunque a parteciparvi. Sono invece proposti soprattutto ai profondisti abituati a scendere con l'aria oltre i limiti per essa accettabili, quindi a esperti che, passando alle miscele, potrebbero operare alle loro quote da brivido con margini di sicurezza estremamente maggiori. Poi l'accesso è alquanto selettivo, dato che bisogna acquisire prima una serie di altre specializzazioni.
Si inizia col doppio corso di Nitrox base e avanzato (due giorni a tempo pieno), al quale si è ammessi presentando un brevetto sportivo ed un normale certificato medico. Si passa poi al Deep Air (o viceversa), un corso che si svolge in tre o più giorni, a seconda dell'esperienza e della "risposta" dell'allievo e che consente di verificare, su parametri oggettivi, gradino dopo gradino, la propria sensibilità all'azoto iperbarico, quindi di imparare l'autocontrollo necessario a sopportarne le conseguenze negative.
Le immersioni avvengono a -40, -47, -54 e infine a -61 metri: non superando quest'ultima verifica bisogna rinunciare al Trimix. è poi la volta degli stage di Nitrox Tecnico, in cui viene insegnato il calcolo delle miscele e il sub si abitua a portare con sé due bombole supplementari per le varie tappe di decompressione. Questa, infatti, per motivi di sicurezza deve poter essere gestita autonomamente e non dipendere da apparecchiature calate dalla barca.
Se tutto va bene si può finalmente accedere al corso Trimix, solo però esibendo un certificato di idoneità sportiva specifica rilasciato da un medico abilitato. Un lungo percorso, questo, che dovrebbe scoraggiare troppo facili entusiasmi e impedire troppo rapidi accessi alla subacquea estrema. La quale, è opportuno sottolinearlo, esce completamente dai confini ammessi da qualsiasi organizzazione sportiva e comporta particolari problematiche fisiologiche.
Il Trimix va considerato una specializzazione selettiva riservata ai più seriamente determinati disposti, tra l'altro, a sobbarcarsi i non indifferenti costi derivanti dalla somma dei corsi ed a scendere in acqua con un'impressionante moltitudine di attrezzature. Proviamo ad elencarle.
Muta stagna di tipo idoneo, praticamente indispensabile per sopportare il freddo degli alti fondali e delle lunghissime decompressioni; bibombola da 10 + 10 litri per la miscela da fondo, caricabile a 250 bar (da un punto di vista tecnico sarebbero preferibili bombole di capienza maggiore e con pressione a 200 bar, ma risultano troppo ingombranti), con rubinetteria speciale (isolatore) che permetta di mantenere collegati o di separare i due recipienti; due ottimi erogatori, uno dei quali con frusta lunga due metri per poter essere utilizzato dal compagno anche procedendo in fila indiana; due manometri; bombolino da 5 l caricato ad aria da applicare al bibombola con relativo erogatore; due bombole singole da 10 l da tenere appese ai fianchi caricate con i gas per la risalita e la decompressione, ognuna con proprio erogatore e manometro; gav tecnico a due camere indipendenti e doppi comandi con capacità minima di 30 l (nulla a che fare con i soliti jacket: oltre alla capacità, cambia la forma, la struttura, l'applicazione dei punti di forza, la robustezza, la dotazione di accessori); faretto con batteria separata; caschetto speleo con luci oppure torcetta fissata alla maschera; uno o due rocchetti; palloncino da almeno 30 l con funzione di supporto per la decompressione e di segnalatore di superficie; attrezzi vari, tra cui un tronchesino.
Inoltre, tabella di decompressione appropriata al programma d'immersione stabilito e un'altra o altre due tabelle da utilizzare in caso di imprevisti. Computer da polso per miscele e radiotelefono subacqueo sono tra gli strumenti facoltativi.
Le tabelle di decompressione devono essere di volta in volta predisposte in base al tempo di permanenza ed alla profondità, al tipo di miscela da fondo e ai gas previsti per le tappe in risalita. A loro volta le singole miscele possono essere formate da percentuali di gas variabili, da determinarsi per ogni preciso progetto operativo.
Nelle immersioni con Trimix, come visto, si arriva ad avere a disposizione fino a quattro gas diversi: il Trimix, appunto, per il lavoro sul fondo; l'aria per la prima fase di discesa; il Nitrox e poi l'ossigeno (oppure due Nitrox diversi) per le varie quote di decompressione. I complessi calcoli relativi rendono indispensabile un apposito programma per personal computer (ad esempio il Pro Dive Planner), disponendo possibilmente di un PC portatile. Potrebbe infatti capitare di dover apportare qualche variazione all'ultimo momento al piano dell'immersione, cosa impossibile se in barca non si ha il computer.
L'immersione tecnica estrema comporta tutto questo. I mezzi per affrontarla esistono, ma dal punto di vista della sicurezza valgono a poco o a nulla se non si sa avvicinarsi ad essa con piena coscienza e razionalità.